Per varie ragioni può apparire che la nozione di public company non desti particolari questioni circa il suo significato.
Sarà perché a partire dal 1993, con l’apertura in Italia del dibattito sulla dismissione delle aziende pubbliche, se ne è fatto un uso così frequente che il termine si può dire sia entrato nel gergo quotidiano; sarà perché la radice latina non lascia
molto spazio a dubbi interpretativi; pare certo però che il concetto di public company rispecchi perfettamente l’immagine suscitata dalla traduzione più celebre del termine: società ad azionariato diffuso.
Se così fosse, non si capirebbe tuttavia perché la comparsa della locuzione nel dizionario nazionale abbia origini tanto
recenti. Nel senso accennato infatti, qualunque società quotata è una public company: per la quotazione in Borsa infatti
è necessario che almeno il 25% del capitale rappresentato dalla categoria di azioni per la quale si richiede la quotazione
sia polverizzato nelle mani del pubblico.
Per comprendere l’anomalia, bisogna invece tenere conto che il concetto di public company è stato introdotto nel vocabolario nazionale in contrapposizione a quello di nocciolo duro, vocabolo di derivazione francese, noyau dur, utilizzato
come sinonimo del più preciso concetto giuridico di gruppo d’azionariato stabile.
I due termini sono stati impiegati per indicare due tecniche opposte di privatizzazione: la prima, volta a distribuire le
azioni fra i risparmiatori attraverso un’offerta pubblica di vendita; la seconda, diretta a trasferire la proprietà sociale a un
nucleo stabile di azionisti, mediante trattativa privata (v.
Al fine di garantire la massima diffusione azionaria, l’articolo 3 della legge n. 474 del 1994 stabilisce che nello statuto
di società operanti in settori sensibili per l’economia (trasporti, energia, banche, assicurazioni e altri) è possibile introdurre per il singolo socio un limite del possesso azionario al 5% del capitale. Risultano così ostacolate eventuali velleità
di scalata da parte di grossi azionisti.
Proprio questa norma tuttavia “tradisce” il significato originario di public company. Nel diritto inglese infatti tale figura non si contraddistingue per l’elevato numero dei suoi soci, ma per il fatto che le azioni possono essere liberamente acquistate e vendute da chiunque, senza limitazioni di sorta. Tale società viene definita public in opposizione a private
company, locuzione che individua una società le cui quote non possono essere trasferite liberamente, ma soltanto con il
consenso degli altri soci.
Ecco allora che non è del tutto adeguato l’impiego di public company come sinonimo di società ad azionariato diffuso,
in particolare quando esistono clausole anti-scalata. Public company è invece, essenzialmente, società pubblica, ossia a
disposizione di chiunque.