Nel gergo finanziario put denota una specifica categoria all’interno della famiglia dei contratti di Borsa noti con il nome
di option, in italiano opzioni. In base a tali contratti, l’acquirente, detto buyer, compra dal venditore, seller, il diritto di
vendere una determinata quantità di attività reali o finanziarie (titoli o indici azionari, valute, e titoli di Stato soprattutto)
a un prezzo stabilito, detto exercise o strike price e in italiano prezzo d’esercizio.
A seconda che il put sia di tipo americano o europeo, il detentore può esercitare il diritto acquistato, in qualunque momento entro una determinata data ovvero soltanto alla scadenza dell’opzione.
Il prezzo dell’opzione, o se si vuole del diritto, è detto premio; rappresenta il guadagno realizzato dal venditore nel caso
in cui le sue previsioni al rialzo siano confortate dalle quotazioni dei mercati. Per guadagnare infatti il seller deve sperare che il prezzo delle attività sottostanti – quelle in relazione alle quali il diritto di vendita è stato ceduto – sia superiore
allo strike price, eventualmente diminuito del premio. Viceversa, il buyer eserciterà il diritto acquistato vendendogli attività finanziarie comprate sul mercato aperto a un prezzo inferiore a quello stabilito secondo contratto. In particolare,
condizione necessaria perché costui eserciti il diritto è che il prezzo di mercato sia inferiore allo strike price. In tal caso
tuttavia, egli riuscirà a derivare un guadagno dall’operazione soltanto a condizione che il prezzo di mercato scenda sotto
il prezzo d’esercizio per un ammontare superiore al premio.
Supponendo per esempio che egli abbia comprato un’opzione put a 300 dollari su cento azioni e che il prezzo strike sia
50 dollari, si ha che per ogni azione egli paga un premio pari a tre dollari. Finché il prezzo di mercato non scende sotto i
47 dollari, l’acquirente paga al venditore più di quanto non riceva: se per esempio il prezzo di mercato del titolo alla
scadenza del contratto è di 48 dollari, egli guadagna per ogni azione due dollari (acquistandola a 48 sul mercato a pronti
e rivendendola a 50 in forza dell’opzione), ma ne paga a titolo di premio tre. D’altra parte, gli conviene esercitare il diritto: in caso contrario, pagherebbe il premio intero senza il vantaggio di limitare i danni, possibilità che nella fattispecie
gli è consentita dal fatto che la sua previsione di ribasso delle quotazioni del titolo è almeno qualitativamente corretta.
L’esempio mostra come sia difficile speculare con le opzioni: non solo è necessario prevedere la direzione delle variazioni dei prezzi, ma anche azzeccarne l’ampiezza e il timing. L’opzione infatti, a differenza dell’attività sottostante, ha
breve durata e una volta scaduta non ha più valore. Il buyer e il seller non possono sperare che “tenendo duro” la variazione prevista finalmente si realizzi. In particolare, i rischi più grossi vengono corsi dal venditore: nell’esempio precedente, se le attività sottostanti fossero azioni e la società fallisse, il prezzo di mercato andrebbe a zero e egli subirebbe
una perdita netta di 4.700 dollari. Sarebbe infatti costretto ad acquistare, per 50 dollari l’una, cento azioni che non hanno
più valore di mercato. Il premio percepito, pari a 300 dollari, avrebbe soltanto l’effetto di ridurre, ancorché in minima
parte, le perdite subite.